Durante i tre anni di vita trascorsi a Fabriano, i membri de La Buona Novella si sentirono bene accolti anche dai Fabrianesi, ma da Gubbio veniva una corrente di simpatia caldissima, grandiosa, pressante, una serie di voci che presto si fusero in un solo, stringente imperativo: Dovete aprire una comunità anche a Gubbio.
Il Centro d’irradiazione del progetto divenne il Centro Immuno/trasfusionale del’Ospedale di Gubbio; lo dirigeva il dr. Giuseppe Montanari, ci lavorava anche Oliviero Rosati, ma alla ribalta salì prepotentemente il tecnico Giulio Scarabotta, per il quale la nostra comunità divenne letteralmente la sua seconda famiglia; morirà improvvisamente, appena cinquantenne, mentre a casa sua ospitava per un periodo di ricarica psicologica una ragazza di S. Girolamo stressata dalla vita comunitaria.
Un uomo riservato e straordinario. Primo di cinque fratelli, tre maschi e due femmine, era tornato dalla Francia nel 1941, quando suo padre, che lavorava in miniera, venne rispedito in patria con tutti gli altri Italiani. Nel 1944 quel padre venne trucidato nell’eccidio dei Quaranta Martiri.
Dovete aprire una comunità anche a Gubbio. Gli occhi caddero sul Convento di S. Girolamo, sul Monte Ansciano, quello che, tra i cinque monti dello stemma di Gubbio, si colloca immediatamente a destra del monte che è al centro, il Monte Ingino, o Monte di S. Ubaldo.
Il convento è di proprietà della Provincia Serafica di S. Francesco dei Frati Minori, che l’hanno abbandonato da circa 15 anni, ma hanno resistito ad allettanti sistemazione ad albergo prospettata da alcuni facoltosi personaggi locali.
Il Ministro Provinciale della Provincia Serafica, p. Cristoforo Cecci, si dice pronto a metterlo a disposizione della futura comunità, a titolo di comodato gratuito, per 99 anni.
Quando c’è il sole è uno splendore la strada che s’inerpica da Via XX Settembre, affiancata nel suo tratto finale da una Via Crucis in pietra con immagini in cotto
al centro del tabernacolo, e finisce nel piccolo, delizioso convento. Ma il giorno che alcuni comunitari di Fabriano la percorsero per la prima volta era un 26 dicembre nebbioso, pioveva, anche dentro il convento: un disfacimento generale. Brrr! Che freddo!
Il contratto di comodato verrà stipulato con P. Minchiatti, successore di P. Cecci. Gli anni della durata contrattuale nel frattempo saranno calati da 99 a 75, poi da 75 a 50, infine da 50 a 25; il ritornello che accompagna questo originale sgonfiamento è sempre lo stesso: “Tanto non ve lo richiederà nessuno”. Certo, visto com’è malmesso o convento, per lo meno a giudicare da come appare la parte alta della parete nord del chiostro, appena liberata dal peso del tetto marcio!
25 anni, bene! “Tanto non ve lo richiederà nessuno”. Detto, fatto! Nel 1996 il Ministro Provinciale P. Giulio Mancini, con il Vescovo Bottaccioli a latere, convocherà don Angelo, che pure non è ancora presidente del Centro Lavoro Cultura (CLC) per fargli una “domandina”.
Nel frattempo la simbiosi fra Comunità e Gubbio, in particolare fra Comunità e quartiere di S. Martino, anche grazie all’inserimento del “Gruppo di Clara Fazzi” e della Famiglia Cacciamani (Daniele, Angela e i figli Gabriele e Mattia) in Via Gabrielli 26, avrà raggiunto il suo apice.
La “domandina” era questa: che ne direste se nell’anno 2000 ci restituiste il Convento di S. Girolamo? Vi assegneremmo in cambio il Monastero della SS.ma Trinità, in Corso Garibaldi, angolo Via Dante.
Centro Lavoro Cultura (CLC) era il nome che, su suggerimento di don Franco Monterub-bianesi, la Comunità di S. Girolamo aveva assunto nel 1984, all’atto della sua costituzione come Associazione, di fronte al Notaio Marchetti. Primo Presidente era stata eletta Silvana Panza, l’anno dopo le era succeduto, Sauro Magara, poi, dal 1987 al 1997, Francesca Bondì: tutt’e tre hanno successivamente scelto strade diverse, ma la Comunità è anche (non solo, né soprattutto) al servizio dei progetti di vita dei singoli individui).
Ben dieci dei 25 anni del nostro comodato se n’erano andati per i lavori di restauro, terminati nel 1984. Impegnativi, imponenti.
Lavori impegnativi perché quando arrivammo a S. Girolamo l’unica acqua disponibile era quella di una cisterna che raccoglieva l’acqua piovana dopo che essa era stata filtrata attraverso dei canaletti lungo il cui percorso erano disseminati sassolini di varia natura, che presumibilmente rendevano potabile quell’acqua; grazie alo straordinario impegno di Elio Cecchetti (Elio “De Barognola”) realizzammo a tempo di record l’acquedotto che prendeva l’acqua da Coppo, la località notissima agli Eugubini, nell’avvallamento tra il Monte Ingino e il Monte Ansciano.
Lavori impegnativi anche perché l’unica macchina che potemmo impiegare fu l’impastatrice, detta anche Sua Maestà la Betoniera.
Rumorosa, al punto che per parlarsi si poteva farlo solo all’orecchio; rumorosa ma preziosa, perché senza di essa avremmo dovuto impastare a mano una montagna di rena con le migliaia di quintali di cemento (7.000 ballette?) che ci vennero forniti bipartisan dalle Cementerie Barbetti e dalla Colacem. Solo lei, Sua Maestà la Betoniera, e ogni tanto una pala di limitate dimensioni. Nemmeno una gru (il terreno poteva cedere), nemmeno una botte di calcestruzzo, (non “ce capiva” sotto l’arco di S. Marziale).
Lavori imponenti. Tra l’altro dovemmo ridisegnare tutte le stanze destinate ai disabili, perché le cellette del vecchio convento erano troppo piccole e avevano la porta troppo stretta; nel fare questo sostituimmo le pietre di cui erano fatte le pareti divisorie con materiale in cotto, robusto quanto richiedeva la funzione che doveva compiere; le pietre finirono a rinforzare il muraglione che nella parte a est del convento, verso il cimitero, sosteneva la strada che saliva verso il bosco e, riducendosi presto ad un fragile viottolo, aggirava a monte il convento; il vecchio muraglione, che cadeva a pezzi, non venne toccato, ma su di esso, con una leggera inclinazione verso l’interno, venne appoggiato un secondo muraglione: pietre trasportate e a mano, malta cementizia prodotta al solito da Sua Maestà l’Impastatrice e trasportata con carriole cigolanti in numero imprecisato. i divisori, che erano tutti in pietra.
Dei permessi edilizi occorrenti ne chiedemmo … alcuni.
Sistemammo alla perfezione, nel più rigoroso rispetto dell’esistente, il pianterreno.
Ripulimmo pietra su pietra quel chiostro medioevale, nel quale qualche anno prima i Frati Minori avevano sostituito alcuni travi in legno con dei tavelloni in laterizio sostenuti da travetti in ferro a “T” rovesciato, e soprattutto, senza rendersene, avevano permesso che venissero girate lacune scene di films porno, tipo Fra Tazio da Velletri: “pornografici” lo erano allora, oggi probabilmente vi potrebbero assistere senza cadere in tentazione anche le educande delle Suore Orsoline.
Sistemammo con cura anche maggiore la stanza che si affaccia sul chiostro dalla parte che si trova di fronte a chi entra: qualcuno la battezzò la “La Cripta”: più che un nome era un sopranome, ma “Cripta” rimase; lì le pietre erano talmente sconnesse che qua e là si potevano asportare a mano …: Ottorino intervenne inserendo dal basso cemento liquido tramite degli enormi iniettori, e inserendo sotto i costoloni in cotto antichissimo robusti ferri di collegamento tra la pietra dei piccoli pilastri di partenza e la pietra della chiave centrale.
Alla fine dei lavori venne allestita, al secondo piano del corpo verso il monte, la grande “Aula Giulio Scarabotta”, dove trovarono degna accoglienza le molte iniziative culturali che via via la Comunità promosse. Le Sorelle Clarisse che hanno ripreso possesso del loro convento nell’Anno 2000 nemmeno possono immaginare quanta fatica generosa e disinteressata sia costata la bomboniera che la CdCdU ha loro riconsegnato.
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Ma quel primo inverno (1974-75) lo trascorremmo all’addiaccio, cercando di riscaldarci (si fa per dire) con due grosse stufe in coccio piazzate nel corridoio del corpo di edificio che si affaccia verso la città. I giorni di grande freddo i disabili gravi, che lo avvertono più acutamente, rimanevano a letto, con sette coperte sopra. Doretto no, ché aveva abbondanti “riserve di combustibile” da bruciare, e ne alimentava assiduamente la portata Ma Silvana e Clara sì, loro che pure avevano in mano l’organizzazione della casa, una nell’ufficio, l’altra in cucina. Nel frattempo andavamo sistemando la parte de convento verso il monte.
Ogni giorno il famoso gruppo delle “Ragazze della V Ginnasio B” saliva a S. Girolamo subito dopo pranzo, lavava i piatti (con l’acqua gelida) e tornava a tempo per fare i compiti. Federica e Vittoria Biancarelli (“Le fje del Pirano”), Rita Berettini, Anna Bonelli, Gabriella Cicci, …. Perché quelle ragazze? Perché a scuola, con don Angelo, stavano leggendo a tappe forzate I Promessi Sposi, “miniera d’umanità”, fino ad arrivare aduna figura che quasi nessuno ricorda: il successore di don Rodrigo, che volle offrire lui pagare lui il pranzo di nozze di Renzo e Lucia, nel castellaccio che era stato l’emblema di tutti i loro terrori, e servì a tavola, ma poi si ritirò a mangiare in una stanza a parte, con don Abbondio ed altri notabili, perché aveva abbastanza umiltà per mettersi al di sotto di Renzo e Lucia, ma non abbastanza per mettersi alla pari con loro. Il primato del vivere con sul vivere per.
Il corridoio funzionava anche come sala da pranzo; nella foto si riconoscono, a capotavola, di spalle, Maurizio “Sdrìngola” Pirani; la terza sulla sinistra è Clara Fazzi; vicino a lei, barbuto, Paolo Concer, in carrozzina; in fondo, a capotavola, anche lei in carrozzina, Silvana Panza; il lungo tubo che fora la volta a botte è quello di una delle due stufe che dovrebbero riscaldare …: “dovrebbero”, nessun condizionale fu mai tanto giustificato. Ma tra poco quella volta, “firmata” sulla parte superiore dal capomastro eugubino Cesare Menichetti alla fine del’800, salterà, insieme con il tetto sovrastante.
A S. Girolamo rimasero a tiro pe 10 anni cinque muratori (Mauro Camilloni, Quinto Bei, Dante Castellani, Gaetano Ferranti), con Ottorino in testa, e tutta la sconfinata manovalanza gratuita dei giovani volontari eugubini, ma anche provenienti un po’ da tutta Italia (organizzati da Padova nell’Associazione Universitari Costruttori, di P. Ciman S.J., e da Pontenure (PC) dai Soci Costruttori di Ruggero Pierotti, con in testa il Giocondo Castoldi di Segrate, due metri lineari di altezza e un metro quadrato di barba rossa come quella di Federico di antica memoria; ma vnnero anche dal’estero: tutti ricordano Xavier, giovane ingegnere belga, il cui gruppo, di ritorno dopo un intensissimo campo di lavoro, evitò solo per un pelo la strage di San Benedetto Val di Sambro, nell’agosto del 1974. E Bin, altro straordinario volontario belga, che poi si fermò per tre anni con noi.
In tutto, tra il 1974 e il 1984, qualche centinaio, forse mille; ogni mattina veniva spedita alla compagnia assicuratrice una raccomandata con l’elenco dei ragazzi assicurati quel giorno. Provvidenziale si rivelò quell’assicurazione quando Luigi Bettini, di Inzago (MI), si infortunò mentre lavorava sul muraglione esterno, nella “passeggiata” a est del convento, rimanendo parzialmente invalido.
Mi pare si chiamasse..: non ricordo; veniva, mi pare, da Ferrara. Era una giovane professoressa, mi pare; durante il campo di lavoro non ci pensava due volte a improvvisarsi muratore, quando non c’era da fare qualcosa di tipicamente femminile. Oddio!, non è che sia l’ideale la tecnica da lei adoprata usava per scialbare i fondelli appena alzati, ma … si sa … ni po’ ch’è!
Tra i volontari venuti da fuori ce ne fu uno che per la Comunità di S.Girolamo si prese una vera e propria cotta, e tornò per molti anni, a passarci ferie lavorando; è Mirko Apolloni, vicentino, soprannominato “Findus”. Ma anche Federico e Roberto, anch’essi di Vicenza, tornarono più volte, e Renata e Giulia di Milano, e Mariolina “vitaccia cavallina m manca sempre la parolina!”…
Tra i volontari gli Eugubini si fecero onore. Marco Marchetti e Raniero Regni, che salirono a S. Girolamo il giorno dopo gli esami di maturità e scesero da S. Girola-mo il giorno prima dell’inizio delle lezioni all’università. Questo ragazzo con sulle spalle un travetto di cemento armato, molto pesante è il figlio del grande Salvatore Ronchi, che fu coltivatore diretto in Via Perugina, poco oltre l’attuale circonvallazione; si chiama Bruno e oggi è Preside della Facoltà di Veterinaria dell’Università della Tuscia, a Viterbo.
Ma il leader incontrastato dei volontari eugubini fu Gianni Cecchini. Era rimasto vittima di un colpo di … compassione. Noto come calciatore di quelli che “o pallone o gamba!”, capitò a S. Girolamo un giorno in cui ci stavamo ammattendo per scavare l’alloggiamento che, incuneandosi nella montagna, avrebbe dovuto ospitare il primo dei due costruendi ascensori. Scavavano, ma era tutta malta cementizia, un materiale che a contatto con l’aria si sfarina presto, ma finché rimane compatto sotto terra risulta durissimo da estrarre; e le punte del martello pneumatico (il motopicco) si spezzavano una dopo l’altra. Gianni arrivò mentre era di turno proprio don Angelo, al quale da poco il martello pneumatico era sfuggito dalle mani, fracassandogli contro la roccia il pollice della mano sinistra. La compassione s’impadronì di Gianni. “Posso provarci io?”. Dopo dieci minuti era chiaro a tutti chi e in che modo poteva portare avanti quel lavoro. “Posso fermarmi un paio di giorni?”. Si fermò due anni: assicurazione contro gli infortuni + 10.000 (dicansi diecimila) £ al mese.
Si creò così, e resistette per un paio d’anni, un corpo gestionale che si affiancò a Clara; era composto di Comunitari, da Volontari a lungo termine, da Volontari occasioni: li vedete nella foto: Aquino Doretto è arrivato a Fabriano appena in tempo per trasferirsi a S. Girolamo; presto ne diventerà un leader; si già s’è attrezzato, quando ancora il convento è tutto uno sfascio, un laboratorio nel quale esercita con somma maestria il mestiere di legatore di libri (ma il suo sogno è quello di fare il meccanico), alle sue spalle Cesare Gambini, che non risiede a S. Girolamo ma è sempre lì, e Gianni Cecchini: se lo sguardo non fosse dolce, lo prenderesti per un generale assiro.
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Un vicenda del tutto particolare è quella di Tonino Scavizzi, “l fjo del Pallino”, “’l nipote del Cagnara”; fu lui che, davanti all’ingresso del convento, il giorno dopo i Ceri 1974, si unì al primo gruppo che da Fabriano si insediava a S. Girolamo: Clara Fazzi e una ragazza di Reggello (FI) che le avrebbe fatto assistenza i primi tempi, Ottorino, don Angelo; con queste cinque persone quel giorno la Comunità di S. Girolamo prese ad esistere.
Tonino, come tutti gli altri volontari, lavorava tutto i giorno e faceva anche assistenza a soggetti invalidi di grande caratura morale, protagonisti per la lro parte della Comunità, ma anche … “invalidi ben bene”: Antonio Scalas, sardo di Assemini, messo in carrozzina da un tuffo sbagliato, nel Ticino, quando era operaio a Milano e Giuliano Pardini, di Capannori – Camaiore (LU). Economicamente, e non era certo segno di grande intelligenza e di grande senso del futuro, stavano meglio i disabili dei sani; i disabili mantenevano la loro pensione d’invalidità, i sani percepivano tutti 10.000 lire al mese cadauno, tutti, compreso don Angelo.
Dopo sette/otto anni Tonino, com’era inevitabile, decise di lasciare la Comunità per andare a costruirsi un futuro, e quando lo comunicò a don Angelo, il “grande capo” gli fece una scenata epica, indegna della sua presunta intelligenza.
Uscito dalla comunità, Tonino si trovò un lavoro, si sposò con Antonella Perugini e … tornò a risiedere a S. Girolamo, in comunità, non però in una delle tante camere, ma in un piccolo appartamento ricavato dentro lo stabile e riservato alla sua famiglia.
Era l’intuizione della CONDIVISIONE POSSIBILE. Insieme con l’autogestione, la condivisone della vita (“non per loro, ma con loro”) rimane il valore cardine della vita comunitaria. Ma la condivisione della vita va resa possibile, irrigidire il modello vuol dire spezzarlo in due; in questo senso furono gravissimi gli errori di don Angelo: senza la sua cieca cocciutaggine Enrico Marini, figlio di un “reuccio del vasellame in acciaio” di Lumezzane (BS) oggi sarebbe un leader comunitario: invece è tornato a casa, lui e sua moglie Pia, e la figlioletta Marta, nata a S. Girolamo …
Una famiglia non può condividere la vita della comunità se le leggi della sua legittima, doverosa privacy non vengono rispettate.
E tuttavia la “condivisione possibile” è vera condivisione: basta aprire una porta e la carrozzina entra in casa Scavizzi, basta aprire la stessa porta e la Famiglia Scavizzi si mescola e ci confonde con la comunità.
Tonino e Antonella rimasero fino a S. Girolamo fino al 2000, quando tornarono le suore, e con loro rimasero le due figlie gemelle Beatrice e Francesca, oggi (2010) laureande in Scienze della Pubblicità, o qualcosa di simile.
Tonino e Antonella, lui di ruolo lei precaria, oggi lavorano come amministrativi nella scuola pubblica; lui è Presidente della nostra Cooperativa S- Girolamo (Padule Fornacette, articoli carnevaleschi e coriandoli), dalla quale non si è mai distaccato, nemmeno quando gli si è affiancato un soggetto del calibro di Giorgio Cecchetti; la foto lo ritrae il giorno in cui, nel settore meccanico della “sua” cooperativa, veniva inaugurata la piegatubi; Tonio è tra Doretto e Vincenzo Aulicino; alla sua destra Pietro Parboni di Scheggia e Tonino Reggiani, che ci ha lasciato da poco.